venerdì 5 marzo 2010

POSTFAZIONE di Augusto Cavalera

“L'ovvio è quel che non si vede mai, finchè qualcuno non lo esprime con la massima semplicità” sentenziava il grande poeta-artista-filosofo libanese Kahlil Gibran e che Walter Spennato nel suo lavoro ha elevato all’ennesima potenza.
Del resto, non è la morte l’ovvia conseguenza della vita, nel suo senso altamente solenne e retorico?
Walter, nelle sue esilaranti mini-storie, ha celebrato la morte come complice di una ridicola farsa, una macchietta in stile pulp da “non ci posso credere!”, quell’atteggiamento narrativo che lascia basiti per gli epiloghi assurdi e verosimili, per il linguaggio acetato e condito, come un pinzimonio che si lascia assaggiare ma che non sazia del tutto.
I protagonisti delle varie scene lo diventano solo da vittime. Soggetti così insulsi e amebici che il “lasciarsi uccidere” sarà l’unico gesto veramente utile che possono fare in vita. Sì, “lasciarsi uccidere”, in quanto sono loro stessi i veri artefici dell’assassinio; con quell’atteggiamento lascivo, irriverente ed indisponente inducono il “povero” omicida a compiere quel gesto ultimo, che li rende finalmente importanti, degni di una storia da raccontare, seppur minuta.
La raccolta è un meltin’pot di micro-situazioni che possibilitano, ossia che tendono al possibile, una derivata che non conosce limiti, ragionamenti evanescenti ma così intrecciati e contorti da formare dei tessuti concettuali solidi, ineccepibili, ovvi, appunto.
Si consiglia di leggerli in un’unica soluzione, come farmaco liberatorio e purificante, per favorire la massima essenza che si sprigiona da ogni situazione, come terapia al quotidiano, a ciò che “non si può fare” ma che tramite “alias” si può cooptare, delegando e nascondendosi poi dietro un alibi inattaccabile.
In almeno un caso ci vediamo attori protagonisti, immedesimati nella mano del boia, di colui che per una volta mette fine a frustrazioni logoranti e permissivismi iperbolici, compiendo dei piccoli omicidi del cazzo, solo per il gusto di osare, di essere. Un giustizialismo probabilmente ingiusto ma meritorio, che premia chi non merita di vivere degnamente.
Una scrittura loquace ma al contempo laconica e pungente, che si rincorre e si sovrappone, che crea dei corto circuiti nel rapporto causa-effetto, un sintetizzatore di immagini-scritte che riverberano immagini-visive in ritmica sequenza, coadiuvate dall’abilità grafica di Laurina Paperina.
Un genere innovativo e sperimentale, un macchiaiolismo che soverchia i canoni letterari ortodossi, scevri di schemi pre-definiti e ruffiani. Questa schiettezza discorsiva stupisce per la sua disarmante innocenza, come il posare la pietra dopo aver commesso il peccato.

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